Riassunto. Le statine sono farmaci ipocolesterolemizzanti largamente prescritti per la
prevenzione delle malattie cardiovascolari. Esercitano anche una azione immunomodulatoria ed in vivo aumentano il numero e la funzionalità delle cellule T regolatorie periferiche. Tale proprietà può, da un lato, risultare benefica in quanto diminuisce l’attività
infiammatoria nell’ambito della placca aterosclerotica, favorendone la stabilizzazione;
d’altro canto, questa azione, che rientra tra gli effetti pleiotropici delle statine, può alterare la risposta delle cellule T effettrici antitumorali. Infatti, in alcuni trial randomizzati, nonostante la loro breve durata, si è evidenziato che le statine aumentano l’incidenza
di cancro, specialmente negli anziani e nelle donne. In queste situazioni, la diminuzione
della mortalità cardiovascolare può essere accompagnata da un aumento della mortalità
per cancro della stessa entità, lasciando così invariata la mortalità complessiva. Inoltre
è stato rilevato che le statine interferiscono con l’immunoterapia per il cancro. Un trattamento farmacologico preventivo che induca una riduzione di eventi cardiovascolari pur
senza influenzare la mortalità totale potrebbe essere giustificato, ma se dovesse cagionare un’aumentata incidenza di cancro sarebbe difficilmente accettabile. Si devono pertanto soppesare accuratamente rischi e benefici globali del trattamento.
Luca Mascitelli
1, Mark R. Goldstein2, Francesca Pezzetta3
«È sicuramente importante utilizzare i farmaci correttamente,
ma richiede molto più talento e approfondita esperienza
saper giudicare quando sospenderli
o addirittura farne definitivamente a meno»
Philippe Pinel (1745-1826).
Introduzione
Il numero di microbi che vivono sulle nostre superfici mucose è di gran lunga superiore al numero di cellule del corpo umano. La sopravvivenza
dell’uomo dipende dalla capacità di riconoscere ed
eventualmente eliminare cellule, sostanze ed organismi potenzialmente patogeni.
Il mezzo di protezione più potente è rappresentato dall’infiammazione.
Essa è uno strumento di risposta generica che
permette al sistema immunitario di riconoscere
rapidamente ogni minaccia, di mobilizzare cellule nei siti di aggressione, rimuovere l’insulto e
guarire le lesioni. L’infiammazione acuta, limitata nel tempo, è caratterizzata dal reclutamento di
granulociti polimorfonucleati e successivamente
da monociti. Il processo infiammatorio si amplifica a cascata attraverso il rilascio sequenziale di
mediatori. Dopo 48-72 ore, i granulociti sono sostituiti dai linfociti. Nonostante l’effetto domino
di reclutamento crescente di cellule infiammatorie, l’infiammazione è solitamente un processo autolimitato che si risolve in pochi giorni o settimane. Se ciò non accade, il processo si cronicizza: i
linfociti divengono le cellule infiammatorie dominanti e nuove regole governano la comunicazione
intercellulare con sviluppo di danni collaterali e
processi riparativi.
L’aterosclerosi può essere definita come una
malattia infiammatoria cronica dell’intima arteriosa1, nella quale i meccanismi fisiologici deputati a risolvere il processo infiammatorio risultano
deficitari. L’aterosclerosi è stata anche definita
una malattia autoimmunitaria1,2.
L’immunoregolazione
e le cellule T “regolatorie” (Tregs)
È indispensabile che il sistema immunitario mantenga l’equilibrio fra il riconoscimento degli antigeni propri (self) e la risposta nei confronti degli antigeni esterni
(non-self). Ciò si ottiene tramite molti livelli di controllo.
L’immunoregolazione è un processo attivo in
cui una popolazione di cellule controlla l’attività
di un’altra popolazione cellulare.
Tale attività soppressiva è realizzata principalmente dalle cellule T “regolatorie” (Tregs)3. Esse sono una
sottopopolazione di linfociti T fenotipo CD4+, con un’alta espressione sulla superficie cellulare della catena alfa del recettore dell’interleuchina-2, chiamata anche
CD25, sì da formare il sottotipo cellulare CD4+CD25+3.
Questi linfociti sono anche caratterizzati dall’espressione del gene FOXP3, che rappresenta un fattore trascrizionale cruciale per lo sviluppo e la funzionalità delle Tregs CD4+CD25+.
Le Tregs rappresentano il 5-10% dei linfociti T CD4 periferici
4. Di predominante origine timica (Tregs naturali), tali cellule
soppressive possono anche evolvere dalle cellule T periferiche in presenza di particolari citochine o stimoli
antigenici (Tregs adattative)5. Le Tregs controllano i
linfociti T attraverso le citochine immunosoppressive
interleuchina-10 (IL-10) e transforming growth factorbeta (TGF-β)5, e tramite contatto cellulare diretto6.
Tregs e cancro
Nel 2000, prendendo in considerazione lo sviluppo
tumorale a livello molecolare, biochimico e cellulare, furono definite sei caratteristiche fondamentali del cancro7: le cellule tumorali sono capaci di crescita autonoma; sono insensibili a segnali che ne inibiscono la crescita; sono capaci di evitare la morte programmata
(apoptosi); hanno un potenziale di crescita infinito; sono
capaci di sviluppare angiogenesi; sono capaci di invadere i tessuti circostanti e metastatizzare a distanza7. Recentemente, una settima caratteristica, forse la più importante dal punto di vista clinico, si è aggiunta alle precedenti: l’assenza di una reazione immunitaria, ovvero l’incapacità del sistema immunitario di eradicare il tumore una volta sviluppatosi8. Molti dei
meccanismi che ostacolano l’immunità antitumorale risultano nello sviluppo di Tregs e l’azione di queste cellule
regolatorie ha limitato il successo delle immunoterapie
antitumorali
9.
Infatti, il sistema immunitario può rispondere alle
cellule tumorali in due modi: reagendo contro antigeni
tumore-specifici (molecole caratteristiche delle cellule
tumorali) o contro gli antigeni associati al tumore (molecole presenti nelle cellule normali ma che sono
espresse in modo differente dalle cellule cancerose)10.
Una volta si pensava che il cancro, anche se esprimeva
antigeni tumorali, non riusciva ad indurre un’adeguata risposta immunitaria perché non era riconosciuto come un patogeno. Si è però successivamente evidenziato che l’inefficiente rigetto del tumore non è un fenomeno passivo: ovvero, il problema fondamentale
dell’immunità tumorale non è la mancanza di
un’azione positiva, ma l’aumento di un’azione negativa9.
I tumori rappresentano strutture cellulari intrinseche all’organismo: la generazione di una risposta antitumorale si potrebbe così sostanzialmente tradurre in
un’azione autoimmunitaria. Il controllo innato indotto
dalle Tregs tenderebbe a limitare quest’effetto. Tuttavia,
si è scoperto che è lo stesso tumore ad indurre una disfunzione immunitaria, sopprimendo l’immunità sia a
livello sistemico sia nel microambiente tumorale. Infatti, il cancro può produrre autonomamente molecole immunosoppressive ed il microambiente tumorale può risultare dominato da Tregs che sopprimono le cellule T
effettrici antitumorali tramite la produzione di IL-10 e
TGF-β11.
Nel microambiente di un cancro ovarico si è visto che
le cellule dendritiche inducevano le cellule T a produrre
la citochina immunosoppressiva IL-10 (azione suggestiva di Tregs adattative), piuttosto che molecole protettive, come normalmente avviene con le cellule dendritiche
di soggetti normali
12. Inoltre, tumori murini che producono TGF-β possono convertire cellule T effettrici antitumorali in Tregs, sfuggendo così alla distruzione da
parte delle cellule immunitarie13. Nel cancro ovarico è
stata anche dimostrata una correlazione inversa tra numero di Tregs nel tumore e sopravvivenza della paziente14; ciò è stato confermato dal successivo riscontro di
una ridotta sopravvivenza delle donne con cancro ovarico nel cui microambiente tumorale si rilevavano alti livelli di FOXP315. Infine, si è recentemente evidenziato
che il numero di cellule T CD4+CD25+FOXP3+ presenti
in diversi tumori è inversamente correlato con la sopravvivenza dei pazienti
9.
Questi studi suggeriscono che l’induzione o
la presenza di Tregs può causare il fallimento
di alcune immunoterapie tumorali9, ed una
vaccinazione attiva nei pazienti con cancro
può anche amplificare l’induzione di Tregs16.
Le Tregs sono così adibite al mantenimento dell’autotolleranza, sopprimendo le risposte immuno aberranti o eccessive. Tuttavia, un’anomala funzionalità o un
alterato numero di esse, in eccesso o in difetto, possono condurre, rispettivamente, ad un deficit dell’attività immunitaria (con sviluppo di infezioni o tumori),
oppure allo sviluppo di autoimmunità (come nel caso
della malattia aterosclerotica).
Di conseguenza, una prospettiva attraente nell’immunologia del cancro è rappresentata proprio dalla potenziale combinazione di interventi immunoterapeutici
con la deplezione di Tregs9,17.
Aterosclerosi
e proprietà immunomodulatorie delle statine
Come altre malattie infiammatorie croniche a potenziale origine autoimmunitaria, anche l’aterosclerosi
sembra correlata ad una diminuita funzionalità delle
Tregs18. Il TGF-β, una delle citochine prodotte dalle
Tregs, svolge un ruolo importante nel rallentare lo sviluppo dell’aterosclerosi
19. Inoltre, il trasferimento di
Tregs in topi geneticamente proni a sviluppare aterosclerosi ha determinato una riduzione significativa delle lesioni vascolari
19.
D’altro canto, l’azione protettiva delle statine sulla riduzione di eventi cardiovascolari sembra dipendere anche dalle loro proprietà anti-infiammatorie ed immunomodulatorie20. Infatti, oltre a ridurre la biosintesi del colesterolo tramite l’inibizione della reduttasi del 3-idrossi3-metilglutaril-coenzima A, le statine interferiscono con
la cosiddetta via del mevalonato (figura 1), prevenendo
così la sintesi di prodotti isoprenoidi intermedi come il
farnesil-pirofosfato ed il geranilgeranil-pirofosfato.
I prodotti isoprenoidi intermedi si uniscono a piccole
proteine-segnale intracellulari durante la fase post-trascrizionale della loro sintesi: queste proteine includono
le piccole proteine G: Rho, Rac e Ras21.
Tale fenomeno,
chiamato prenilazione, è un prerequisito fondamentale
per le funzioni di queste proteine che controllano multiple azioni, fondamentali nelle attività cellulari. La riduzione dei prodotti isoprenoidi intermedi sembra favorire
anche l’espressione del fattore trascrizionale FOXP3.
Tale azione immunomodulatoria, se da un lato può
stabilizzare la placca aterosclerotica tramite una riduzione della risposta infiammatoria25, dall’altro può alterare la risposta antitumorale innata26 e adattativa9.
Statine e rischio di cancro
La riduzione dei prodotti isoprenoidi intermedi
(figura 1) ha suggerito un potenziale ruolo protettivo delle statine contro il cancro. Infatti, la famiglia delle proteine Ras/Rho esercita un ruolo importante nella regolazione della differenziazione e
della proliferazione cellulare27: le statine sembrano indurre apoptosi nelle cellule tumorali
27. Tuttavia, i risultati delle fasi iniziali di trial clinici in cui
si è sperimentato l’effetto antitumorale delle statine non sono stati incoraggianti
28,29.
D’altronde, è possibile che nella pratica
clinica l’immunosoppressione indotta da una
terapia a lungo termine con statine possa impedire al sistema immunitario di aggredire
ed eradicare un eventuale tumore8.
■ E, se da un lato, studi osservazionali hanno evidenziato una associazione tra uso delle statine e
ridotta incidenza di cancro30,31, con un possibile
maggior effetto delle statine lipofile31, i risultati di
trial randomizzati sembrano, invece, indicare l’opposto, suggerendo errori di selezione negli studi osservazionali. Infatti, a livello epidemiologico è evidente un’associazione tra mortalità per cancro e
bassi livelli di colesterolo32,33. D’altro canto, è noto
che i livelli basali di colesterolemia negli individui
in trattamento con statine sono più alti di quelli
della popolazione generale34. È pertanto verosimile che negli studi osservazionali l’uso di statine selezioni una popolazione con colesterolemia più elevata ed escluda quei soggetti con bassi valori basali di colesterolo, i quali possono avere una maggiore mortalità per cancro.
■ Almeno cinque esperimenti animali hanno evidenziato che le statine inducono cancro nei roditori
35 con valori ematici del farmaco simili a quelli
raggiunti con le dosi somministrate attualmente
nell’uomo. Inoltre, una recente meta-analisi
36 di
grandi trial che avevano arruolato pazienti trattati con varie statine contro placebo ha evidenziato
una significativa relazione inversa tra livelli ematici di colesterolo-LDL e rischio di cancro nei pazienti trattati con statine (p = 0,009). Successivamente, è stato suggerito che, nonostante la presenza di questa associazione inversa, l’aumentata
incidenza di tumori non dipenda da un’azione diretta delle statine37. Tuttavia, i risultati non sono
tranquillizzanti: nel gruppo trattato con statine,
un’analisi di meta-regressione ha evidenziato
un’associazione inversa tra valori raggiunti di colesterolo-LDL e nuova incidenza di cancro, con un
aumento di 2,2 tumori per 1000 persone/anno per
ogni 10 mg/dl di decremento del colesterolo-LDL
durante il trattamento (p = 0,006)37. Inoltre, bisogna considerare che i trial randomizzati sono disegnati specificatamente per provare l’efficacia del
farmaco, con accurati criteri di selezione, utilizzando spesso fasi di “run-in”, e gli investigatori, se
e quando sponsorizzati da case farmaceutiche, conducono gli studi per periodi limitati, in gruppi di
pazienti che usualmente non assumono molti altri
farmaci e con poche patologie concomitanti.
È noto che una cancerogenesi chimica può difficilmente evidenziarsi in meno di 10 anni (attualmente il più lungo periodo di esposizione a statine
negli studi randomizzati); in periodi più brevi è più
probabile che essa si manifesti nella popolazione a
maggior rischio di cancro: negli anziani o tra coloro che hanno già sofferto di una patologia tumorale, oppure in caso di tumori facilmente e precocemente evidenziabili.
■ Nel Prospective Study of Pravastatin in the Elderly at Risk (PROSPER)38, in 3,2 anni, si è evidenziato un significativo aumento di incidenza di
cancro nei soggetti randomizzati a pravastatina rispetto al placebo; l’età media all’inizio dello studio
era di 75 anni e l’aumento annuale nell’incidenza
di cancro era dello 0,5%. Inoltre, nei soggetti trattati con statina, l’aumento di mortalità per cancro
ha quasi raggiunto la significatività statistica ed
ha esattamente annullato la diminuzione di mortalità cardiovascolare: la mortalità totale è così risultata invariata38. Gli investigatori hanno tentato di tranquillizzare l’opinione pubblica conducendo una breve meta-analisi in soggetti in trattamento con pravastatina38, meta-analisi che ha
escluso un’aumentata incidenza di cancro nei soggetti randomizzati a statina; però, non è stato evidenziato che gli studi inclusi in questa meta-analisi riguardavano soggetti molto più giovani di
quelli randomizzati nel PROSPER38. Infatti, in
una successiva meta-analisi con regressione39 di
tutti i trial significativi con pravastatina, l’uso della statina non è risultato associato ad un rischio
aumentato o diminuito di cancro, tranne che nei
pazienti di età avanzata, in cui il rischio di sviluppare cancro è risultato essere significativamente
elevato: i dati derivati dall’equazione di regressione hanno evidenziato che i rapporti di rischio di
cancro associato alla terapia con pravastatina sono
risultati di 0,99 per l’età di 60 anni e di 1,22 nei
pazienti di 75 anni
39.
■ Nel trial Long-Term Intervention with Pravastatin in Ischemic Disease (LIPID)
40, l’incidenza di
cancro è risultata maggiore nei soggetti anziani
(65-75 anni) randomizzati a pravastatina nei 6 anni di durata dello studio: l’aumento annuale assoluto dell’incidenza di cancro nei soggetti anziani
36 Recenti Progressi in Medicina, 100, 1, 2009
che assumevano la statina rispetto al placebo è stato dello 0,5%, aumento che è esattamente quello
osservato nello studio PROSPER.
■ Recentemente sono stati resi noti i deludenti risultati dello studio Simvastatin and Ezetimibe in
Aortic Stenosis (SEAS)41,42, nel quale pazienti con
stenosi aortica di età compresa tra 45 e 85 anni
(età media 68 anni, con il 46,9% di soggetti di età
superiore a 70 anni) sono stati randomizzati a ricevere una terapia ipocolesterolemizzante intensiva con la combinazione di 40 mg/die di simvastatina e 10 mg/die di ezetimibe o placebo per almeno 4 anni. Nel gruppo statina più ezetimibe si
è verificata un’aumentata incidenza di cancro
(9,9%) rispetto al gruppo placebo (7,0%), ed anche
un’aumentata mortalità per cancro (4,1% contro
2,5%)42. A livello speculativo, si potrebbe anche
ipotizzare che, nello studio SEAS, la cancerogenesi, oltre che favorita dal citato effetto immunosoppressivo della statina, possa essere mediata dall’inibizione dell’assorbimento dei fitosteroli indotta dall’ezetimibe43,44.
■ Nell’analisi secondaria dello studio Treating to
New Target (TNT)45 pazienti di età compresa tra
65 e 75 anni randomizzati ad un’alta dose di atorvastatina (80 mg/die) hanno evidenziato una tendenza verso un’aumentata mortalità totale rispetto ai soggetti randomizzati ad una bassa dose del
farmaco (10 mg/die). La differenza di mortalità totale era largamente dovuta all’aumento di mortalità per cancro (2,8%) nel gruppo randomizzato a
80 mg/die di atorvastatina rispetto al gruppo randomizzato a 10 mg/die (2,1%)45. Questo dato sembra anche confermare la relazione diretta tra dose
di statina ed incidenza di cancro. Dallo stesso studio TNT, si è rilevato che donne con cardiopatia
ischemica stabile in terapia con 80 mg/die di atorvastatina hanno sofferto di un significativo aumento di mortalità per cancro che ha portato ad un
aumento della mortalità globale, rispetto alle donne randomizzate a 10 mg/die del farmaco46. Quest’ultimo sottostudio46 suggerisce anche una potenziale azione carcinogenica sinergica tra statine
ed estrogeni. Infatti, un ampio studio di durata superiore agli 8 anni in un grande numero di donne
che assumevano statina e terapia ormonale ha evidenziato un raddoppio statisticamente significativo di cancro della mammella rispetto al gruppo di
controllo47. È importante rilevare che, come le statine, anche gli estrogeni possono esercitare un’azione immunomodulatoria associata ad un aumento
delle Tregs48.
■ Nello studio Cholesterol and Recurrent Events
(CARE)
49, nei 5 anni di durata del trial, si è riscontrato 1 caso di cancro della mammella nelle 290
donne del gruppo placebo e 12 casi nelle 286 donne
nel gruppo pravastatina (p = 0,002); alcuni di questi casi erano recidive tumorali. Quest’ultimo è un
dato di rilievo, anche per il fatto che le recidive tumorali appaiono più precocemente di un cancro primitivo.
Ma, d’altronde, non si è più potuto verificare se la
terapia con statine possa aumentare la recidiva tumorale perché, dopo la pubblicazione dello studio
CARE, la presenza di cancro pregresso è divenuta
un criterio di esclusione nei trial randomizzati. Il
medesimo problema si è osservato con i carcinomi
cutanei (ad esclusione del melanoma), tumori facilmente diagnosticabili in uno stadio precoce. L’incidenza di questi tumori è stata registrata nei primi
studi con simvastatina50,51, ma non sono stati routinariamente inclusi nei trial successivi.
■ Nello Scandinavian Simvastatin Survival Study (4S)50 e nell’Heart Protection Study (HPS)51 i
carcinomi cutanei (ad esclusione del melanoma)
si sono osservati più frequentemente nei gruppi
randomizzati a simvastatina: con le dovute cautele, necessarie quando si combinano studi differenti, unendo i risultati dei pazienti in trattamento con simvastatina dei due trial, la differenza risulta statisticamente significativa (nei pazienti trattati con simvastatina 256 casi su 12490
soggetti, nei due gruppi placebo 208 casi su 12490
pazienti; p = 0,028). Ciò può destare ulteriore preoccupazione quando si considera che gli individui
con pregressa diagnosi di tumore cutaneo (ad
esclusione del melanoma) hanno un rischio aumentato di sviluppare successivamente carcinomi non cutanei
52.
Il trattamento con statina può anche influenzare negativamente l’immunoterapia per cancro.
Infatti, è stato evidenziato che, durante il trattamento con bacilli di Calmette-Guerin per il cancro della vescica, la concomitante assunzione di
statine poteva aumentare significativamente il
rischio di progressione del tumore fino ad arrivare alla cistectomia radicale53. È plausibile che
l’aumento di Tregs indotto dal trattamento con
statina possa essere alla base di questa interferenza durante l’immunoterapia per cancro della
vescica. Infine, il raggiungimento di bassi livelli di
colesterolo-LDL durante trattamento con statina è
risultato associato ad una maggiore mortalità per
cancro anche in popolazioni di diversa etnia. Il Japan Lipid Interventional Trial (J-LIT)
54, uno studio
di coorte nazionale di 6 anni che ha coinvolto 47294
pazienti giapponesi trattati con basse dosi di simvastatina (5-10 mg/die), ha evidenziato che i soggetti la cui colesterolemia al follow-up era inferiore
a 160 mg/dL avevano un significativo aumento di
mortalità per cancro rispetto a coloro la cui colesterolemia totale era tra 200 e 219 mg/dL (p = 0,001)
54.
Conclusioni
Attualmente si registra una spinta sempre
maggiore a considerare come fondamento della
prevenzione cardiovascolare il trattamento aggressivo e precoce dell’ipercolesterolemia55.
Tuttavia, l’effetto immunomodulatorio delle
statine, se da un lato può portare ad una stabilizzazione della placca aterosclerotica, dall’altro può
alterare la risposta immunitaria antitumorale.
Un’opzione farmacologica di medicina preventiva che induca una riduzione di eventi cardiovascolari senza influenzare la mortalità totale potrebbe anche essere giustificata (come la terapia
antiipertensiva in alcuni segmenti della popolazione), ma se il prezzo da pagare è un’aumentata
incidenza di cancro può risultare difficilmente accettabile.
L’ipotesi che il trattamento prolungato con
statine possa, in determinate circostanze,
indurre una diminuzione della mortalità cardiovascolare a spese di un’aumentata mortalità per
cancro risulta quindi altamente plausibile56 e
merita attenzione.